Uno dei miei primi ricordi da bambino riguarda la mia giostra preferita ai giardini pubblici: un cavallo con una pistola, con cui si potevano colpire gli indiani e i soldati nordisti, che stavano dentro una scatola di vetro e giravano attraverso un piccolo circuito. Quando passavano dietro un monte l’ingranaggio li faceva tornare su, pronti per essere colpiti di nuovo.
Quello era anche stato uno dei più grandi misteri per me fino a quel momento: come faceva la pistola a buttare giù i pupazzi? Non sparava un pallino, non sparava acqua, e tra me e i soldatini c’era uno strato di vetro.
Avevo chiesto spiegazioni ai grandi, e mi era stato detto che la pistola aveva un raggio laser invisibile che passava attraverso il vetro e centrava il soldatino.
Chiaro, e spiegava anche perché nonostante tirassi il grilletto con tutte le mie forze e senza fermarmi, distruggendomi le mani, la pistola sparasse solo ogni tanto, mancando alcuni dei soldatini che io dovevo aver per forza colpito: il raggio laser, mi avevano spiegato ancora, era lento, perché aveva bisogno di tempo per oltrepassare il vetro.
Chiaro anche questo, quindi avevo iniziato a tirare il grilletto prima del tempo, e in effetti riuscivo a buttare giù dei soldatini, anche se pochi altri rimanevano in piedi.
Quello era il periodo in cui da grande avrei voluto fare il cow boy. Ma in me stava maturando una coscienza civica: attraverso i film western scoprivo cosa era successo agli Indiani, ed ero giunto a una delle decisioni più importanti della mia vita fino a quel momento: la prima volta in cui ho cambiato idea su cos’avrei fatto da grande.
Da grande avrei fatto l’indiano.
Così decido di non sparare più agli indiani. Lo so, si tratta solo di pupazzetti, cose insignificanti, ma é una questione di coerenza, e rispetto, anche nelle piccole cose.
E in questo non sono cambiato.
Mio nonno mette la moneta, il cavallo parte e io prendo la mira. Questa volta non sparo in continuazione, ma solo quando è il momento di colpire il mio bersaglio. Il primo è un soldato, gli sparo e va giù. Poi c’è un altro soldato, gli sparo, ma lo manco.
Il terzo è un indiano, e lo lascio stare.
Ma lui va giù.
Mi sento in colpa, forse ho sfiorato il grilletto, quel grilletto che fino a poco prima mi aveva massacrato le dita perché tirava a vuoto.
Mentre sto ancora pensando lascio scappare un soldato, riprendo la concentrazione e sparo a un altro soldato, che dopo un po’ va giù.
Poi arriva un indiano, e questa volta tolgo proprio le mani dalla pistola.
Ma spara, e lui va giù di nuovo.
Finisco la partita senza rendermi conto esattamente di quello che succede: manco dei bersagli che avevo in pugno, mentre colpisco quelli a cui non sparo. Possibile che oggi il laser sia molto più lento del solito?
La sera analizzo la situazione, i pensieri mi attanagliano e non mi lasciano dormire. Ho un’idea, e il giorno dopo io e mio nonno siamo di nuovo alle giostre dei giardini pubblici.
Lui mette la moneta e io cavalco senza toccare la pistola.
Quello che avviene dopo mi lascia incredulo e pieno di rabbia: la pistola spara anche senza che io la tocchi, e soldatini e indiani vanno giù.
Non so ancora contare, ma ora che guardo i soldatini nel loro insieme, e non uno per uno cercando di colpirli, mi accorgo che quelli che vanno giù e quelli che rimangono in piedi sono sempre gli stessi.
Mio nonno è pronto per mettere un’altra moneta, ma finito il giro scendo da cavallo e gli dico “Andiamo”.
La sera lui racconta di come avevo insistito per andare a quella giostra e poi ho fatto solo un giro, rifiutando il secondo, mentre di solito mi doveva portare via con la forza.
A casa mi chiedono spiegazioni e io non ne do.
Mi domando di chi posso fidarmi.
La giostra era truccata, tutti sapevano che non c’era nessun raggio laser, e mi hanno preso in giro perché sono piccolo.
Sono andato su quella giostra solo più una volta, per non far dispiacere mio nonno che insisteva, e ho guardato con compassione gli altri bambini ignari, che continuavano a divertirsi su quel cavallo.
Da allora ho aspettato di diventare grande al più presto, perché i grandi non vengono presi in giro.
Quello era anche stato uno dei più grandi misteri per me fino a quel momento: come faceva la pistola a buttare giù i pupazzi? Non sparava un pallino, non sparava acqua, e tra me e i soldatini c’era uno strato di vetro.
Avevo chiesto spiegazioni ai grandi, e mi era stato detto che la pistola aveva un raggio laser invisibile che passava attraverso il vetro e centrava il soldatino.
Chiaro, e spiegava anche perché nonostante tirassi il grilletto con tutte le mie forze e senza fermarmi, distruggendomi le mani, la pistola sparasse solo ogni tanto, mancando alcuni dei soldatini che io dovevo aver per forza colpito: il raggio laser, mi avevano spiegato ancora, era lento, perché aveva bisogno di tempo per oltrepassare il vetro.
Chiaro anche questo, quindi avevo iniziato a tirare il grilletto prima del tempo, e in effetti riuscivo a buttare giù dei soldatini, anche se pochi altri rimanevano in piedi.
Quello era il periodo in cui da grande avrei voluto fare il cow boy. Ma in me stava maturando una coscienza civica: attraverso i film western scoprivo cosa era successo agli Indiani, ed ero giunto a una delle decisioni più importanti della mia vita fino a quel momento: la prima volta in cui ho cambiato idea su cos’avrei fatto da grande.
Da grande avrei fatto l’indiano.
Così decido di non sparare più agli indiani. Lo so, si tratta solo di pupazzetti, cose insignificanti, ma é una questione di coerenza, e rispetto, anche nelle piccole cose.
E in questo non sono cambiato.
Mio nonno mette la moneta, il cavallo parte e io prendo la mira. Questa volta non sparo in continuazione, ma solo quando è il momento di colpire il mio bersaglio. Il primo è un soldato, gli sparo e va giù. Poi c’è un altro soldato, gli sparo, ma lo manco.
Il terzo è un indiano, e lo lascio stare.
Ma lui va giù.
Mi sento in colpa, forse ho sfiorato il grilletto, quel grilletto che fino a poco prima mi aveva massacrato le dita perché tirava a vuoto.
Mentre sto ancora pensando lascio scappare un soldato, riprendo la concentrazione e sparo a un altro soldato, che dopo un po’ va giù.
Poi arriva un indiano, e questa volta tolgo proprio le mani dalla pistola.
Ma spara, e lui va giù di nuovo.
Finisco la partita senza rendermi conto esattamente di quello che succede: manco dei bersagli che avevo in pugno, mentre colpisco quelli a cui non sparo. Possibile che oggi il laser sia molto più lento del solito?
La sera analizzo la situazione, i pensieri mi attanagliano e non mi lasciano dormire. Ho un’idea, e il giorno dopo io e mio nonno siamo di nuovo alle giostre dei giardini pubblici.
Lui mette la moneta e io cavalco senza toccare la pistola.
Quello che avviene dopo mi lascia incredulo e pieno di rabbia: la pistola spara anche senza che io la tocchi, e soldatini e indiani vanno giù.
Non so ancora contare, ma ora che guardo i soldatini nel loro insieme, e non uno per uno cercando di colpirli, mi accorgo che quelli che vanno giù e quelli che rimangono in piedi sono sempre gli stessi.
Mio nonno è pronto per mettere un’altra moneta, ma finito il giro scendo da cavallo e gli dico “Andiamo”.
La sera lui racconta di come avevo insistito per andare a quella giostra e poi ho fatto solo un giro, rifiutando il secondo, mentre di solito mi doveva portare via con la forza.
A casa mi chiedono spiegazioni e io non ne do.
Mi domando di chi posso fidarmi.
La giostra era truccata, tutti sapevano che non c’era nessun raggio laser, e mi hanno preso in giro perché sono piccolo.
Sono andato su quella giostra solo più una volta, per non far dispiacere mio nonno che insisteva, e ho guardato con compassione gli altri bambini ignari, che continuavano a divertirsi su quel cavallo.
Da allora ho aspettato di diventare grande al più presto, perché i grandi non vengono presi in giro.
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