C’è stato un momento della mia vita in cui ho pensato di essere arrivato, per poi rendermi improvvisamente conto che avevo ancora della strada da fare.
È coinciso con la scuola.
In quel periodo mi sento grande, perché tutti mi dicono che lo sono.
Esco di casa e vado in cortile, dove trovo, con altri più grandi, il mio vicino di pianerottolo, che va nella mia stessa scuola, un anno avanti a me.
Chiedo di poter giocare con loro, ma il mio vicino mi dice che con loro possono giocare solo i bambini grandi.
“Io sono grande!” ribatto io, prendendo in parola tutti quelli che me ne avevano convinto.
“Ah sì?” fa lui “E che classe fai?”
Mani sui fianchi, sorrido e scandisco:
“La prima...!”.
Tutti ridono sguaiatamente, imboccati da lui. Poi lui mi dice:
“Con noi possono giocare solo quelli che fanno almeno la seconda”.
E pensando che persino lui rientra al pelo nei parametri che lui stesso ha stabilito, esco di scena sconfitto.
Per tutto l’anno medito vendetta e spero che mi capiterà un’altra occasione, che arriva più o meno un anno dopo.
Incontro lui e altri in cortile, e cerco di provocare la conversazione di un anno prima. Quindi chiedo di unirmi a giocare con loro.
Distrattamente, lui mi dice di nuovo che con loro possono giocare solo i bambini grandi.
Sorrido tra me:
“Io sono grande”.
“Ah, sì? E che classe fai?” mi chiede ancora, come se non sapesse che sono in quella di fianco alla sua.
Con orgoglio rispondo:
“La seconda...!!”.
Ma lui ride sguaiatamente, e gli altri lo seguono. Poi mi dice:
“Con noi possono giocare solo quelli che fanno almeno la terza!”.
In quel momento ho capito che era una battaglia persa, e una guerra che non valeva la pena di combattere.
Da allora ho giocato da solo, con pupazzi a cui dicevo io cosa fare, e che non si sono mai presi gioco di me.
È coinciso con la scuola.
In quel periodo mi sento grande, perché tutti mi dicono che lo sono.
Esco di casa e vado in cortile, dove trovo, con altri più grandi, il mio vicino di pianerottolo, che va nella mia stessa scuola, un anno avanti a me.
Chiedo di poter giocare con loro, ma il mio vicino mi dice che con loro possono giocare solo i bambini grandi.
“Io sono grande!” ribatto io, prendendo in parola tutti quelli che me ne avevano convinto.
“Ah sì?” fa lui “E che classe fai?”
Mani sui fianchi, sorrido e scandisco:
“La prima...!”.
Tutti ridono sguaiatamente, imboccati da lui. Poi lui mi dice:
“Con noi possono giocare solo quelli che fanno almeno la seconda”.
E pensando che persino lui rientra al pelo nei parametri che lui stesso ha stabilito, esco di scena sconfitto.
Per tutto l’anno medito vendetta e spero che mi capiterà un’altra occasione, che arriva più o meno un anno dopo.
Incontro lui e altri in cortile, e cerco di provocare la conversazione di un anno prima. Quindi chiedo di unirmi a giocare con loro.
Distrattamente, lui mi dice di nuovo che con loro possono giocare solo i bambini grandi.
Sorrido tra me:
“Io sono grande”.
“Ah, sì? E che classe fai?” mi chiede ancora, come se non sapesse che sono in quella di fianco alla sua.
Con orgoglio rispondo:
“La seconda...!!”.
Ma lui ride sguaiatamente, e gli altri lo seguono. Poi mi dice:
“Con noi possono giocare solo quelli che fanno almeno la terza!”.
In quel momento ho capito che era una battaglia persa, e una guerra che non valeva la pena di combattere.
Da allora ho giocato da solo, con pupazzi a cui dicevo io cosa fare, e che non si sono mai presi gioco di me.
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